IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO 
                       REGIONALE PER IL LAZIO 
                       (Sezione terza quater) 
 
    Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso n. 782 del  2013
proposto dall' Istituto figlie di Nostra Signora di  Monte  Calvario,
in persona del legale  rappresentante  pro-tempore,  rappresentato  e
difeso, anche disgiuntamente, dagli avvocati Roberto Gerosa e Massimo
Ragazzo ed  elettivamente  domiciliato  presso  lo  studio  legale  e
tributario Sciume' e associati in Roma, via Aniene n. 14; contro: 
        la regione Lazio,  in  persona  del  Presidente  pro-tempore,
rappresentata e difesa  dall'avv.  Roberta  Barone  ed  elettivamente
domiciliata presso la sede dell'Avvocatura  regionale  in  Roma,  via
Marcantonio Colonna n. 27; 
        il commissario ad acta per la  Sanita'  della  regione  Lazio
nominato con delibera del Consiglio dei ministri del 16 ottobre 2012; 
        la Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente pro-tempore, 
rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi n. 12; per l'annullamento: 
        del decreto del Presidente della regione  Lazio  adottato  in
qualita' di commissario ad acta n. 348 del 22 novembre  2012  recante
«Legge  del  7  agosto  n.  135/2012  -  conversione  in  legge,  con
modificazioni, del decreto-legge n. 95  del  6  luglio  2012  recante
disposizioni urgenti  per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini - applicazione art. 15, comma  14
- assistenza specialistica anno 2012»; 
        del decreto del Presidente della regione  Lazio  adottato  in
qualita' di commissario ad acta n. 349 del 22 novembre  2012  recante
«Legge  del  7  agosto  n.  135/2012  -  conversione  in  legge,  con
modificazioni, del decreto-legge n. 95  del  6  luglio  2012  recante
disposizioni urgenti  per  la  revisione  della  spesa  pubblica  con
invarianza dei servizi ai cittadini - applicazione art. 5, comma 14 -
assistenza ospedaliera anno 2012»; 
        di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguenziale. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  delle  intimate
amministrazioni; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  19  novembre  2013  il
dott.  Giuseppe  Sapone  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: 
 
                           Fatto e diritto 
 
    L'istituto ricorrente e' titolare dell'ospedale «Cristo  Re»  che
eroga  in  regime  di  accreditamento  con  il   servizio   sanitario
regionale, prestazioni di ricovero ospedaliero a  ciclo  continuativo
diurno, notturno e post acuzie, APA e PAC ambulatoriali, ivi comprese
quelle di riabilitazione. 
    Con il proposto gravame ha impugnato  i  decreti  del  Presidente
della regione Lazio, in epigrafe indicati, che hanno rideterminato il
budget gia' assegnati per il 2012 al suddetto nosocomio, disponendone
le seguenti riduzioni: 
        0,4245% per le prestazioni di specialistica ambulatoriale; 
        6,8519% per le prestazioni  ospedaliere  di  cui  al  DPCA  U
088/2012 e DPCA U094/2012. 
    I suddetti decreti sono stati adottati in applicazione  dell'art.
15, comma 14, del decreto-legge n. 95/2012, convertito con  legge  n.
135/2012, il quale dispone che «A tutti i singoli contratti e a tutti
i singoli accordi vigenti nell'esercizio  2012,  ai  sensi  dell'art.
8-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  502,  per
l'acquisto di prestazioni sanitarie da soggetti  privati  accreditati
per  l'assistenza  specialistica  ambulatoriale  e  per  l'assistenza
ospedaliera,  si   applica   una   riduzione   dell'importo   e   dei
corrispondenti  volumi  di  acquisto  in  misura  percentuale  fissa,
determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre
la spesa complessiva annua,  rispetto  alla  spesa  consuntivata  per
l'anno 2011, dello 0,5 per cento per l'anno 2012,  dell'1  per  cento
per l'anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall'anno 2014». 
    Il ricorso e' affidato ai seguenti motivi di doglianza: 
    1) violazione della normativa in materia di tetti di spesa; 
    2) violazione degli articoli 3, 24, 32, 41, 42,  43,  97,  113  e
117, commi 2 e 3, della Costituzione. 
    Si sono costituite le  intimate  amministrazioni  contestando  la
fondatezza delle  prospettazioni  ricorsuali  e  concludendo  per  il
rigetto delle stesse. 
    Alla pubblica udienza del 19 novembre 2013 il  ricorso  e'  stato
assunto in decisione. 
    Oggetto della presente controversia sono i decreti del Presidente
della regione Lazio, in epigrafe indicati, che hanno rideterminato  i
budget gia' assegnati per il 2012 alle strutture sanitarie in  regime
di accreditamento con il servizio sanitario. 
    Come sopra esposto i  gravati  decreti  sono  stati  adottati  in
applicazione dell'art. 15, comma 4,  del  decreto-legge  n.  95/2012,
convertito con modifiche con legge n. 135/2012, il quale testualmente
stabilisce che «A tutti i singoli  contratti  e  a  tutti  i  singoli
accordi vigenti nell'esercizio 2012, ai sensi  dell'art.  8-quinquies
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, per  l'acquisto  di
prestazioni   sanitarie   da   soggetti   privati   accreditati   per
l'assistenza   specialistica   ambulatoriale   e   per   l'assistenza
ospedaliera,  si   applica   una   riduzione   dell'importo   e   dei
corrispondenti  volumi  di  acquisto  in  misura  percentuale  fissa,
determinata dalla regione o dalla provincia autonoma, tale da ridurre
la spesa complessiva annua,  rispetto  alla  spesa  consuntivata  per
l'anno 2011, dello 0,5 per cento per l'anno 2012,  dell'1  per  cento
per l'anno 2013 e del 2 per cento a decorrere dall'anno 2014». 
    Costituisce problematica, sollevata dall'istante nei propri  atti
d'impugnativa, che il Collegio  reputa  prioritaria  (anche  ai  fini
della rilevanza delle questioni di  legittimita'  costituzionale  del
sopra citato art. 15, comma 14, che si  intendono  sollevare  con  la
presente ordinanza), quella per cui tale disposizione di legge non si
applicherebbe agli ospedali  classificati,  in  quanto  equiparati  a
quelli pubblici, anche dopo la riforma sanitaria, ex art. 4, comma 12
del decreto legislativo n. 502/1992. 
    Tale opzione interpretativa non e' condivisa dal  Collegio,  alla
stregua del tenore letterale e del senso logico dell'art.  15,  comma
14  del  decreto-legge  n.   95/2012.   Tale   norma   si   riferisce
espressamente, invero, a tutti i contratti ed accordi per acquisto di
prestazioni sanitarie «da soggetti  privati  accreditati».  Ora,  non
v'e' dubbio che gli ospedali classificati  siano  nondimeno  soggetti
privati, retti da regole privatistiche e gestiti secondo principi  di
economia, se non lucrativi.  E'  pacifico  tra  l'altro,  secondo  la
giurisprudenza della Corte di cassazione  (cfr.  sez.  un.  2  aprile
2007, n.  8088),  che  gli  enti  ecclesiastici  esercenti  attivita'
ospedaliera, non sono da includersi, secondo l'ordinamento del lavoro
alle  dipendenze  delle   amministrazioni   pubbliche   di   cui   al
decreto-legge 30 marzo 2001, n. 165, tra dette  amministrazioni,  che
ai  sensi  dell'art.  1  di  detto  testo  normativo  comprendono  le
amministrazioni,  le  aziende  e  gli  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale.  La  classificazione,  invero,  degli  enti  ecclesiastici
civilmente riconosciuti non vale ad attribuire ad essi natura di ente
ospedaliero o di ente pubblico, ma ne comporta  l'equiparazione  agli
ospedali pubblici solo per effetti  determinati  e  limitati,  quali,
attualmente, l'inserimento nell'ambito della programmazione sanitaria
e il riconoscimento delle medesime tariffe. Per il resto, resta ferma
l'autonomia amministrativa e finanziaria dei detti ospedali e la loro
natura di soggetti privati. E' stato anche affermato, al riguardo (v.
Cass. Sez. Lav., sent. n. 12039 del 19 dicembre 1990)  che  gli  enti
ecclesiastici   civilmente   riconosciuti,   i    quali    esercitano
professionalmente attivita'  ospedaliera,  assumono  la  qualita'  di
imprenditore, nonostante il fine spirituale  o  comunque  altruistico
perseguito, ove la loro prestazione sia oggettivamente organizzata in
modo che essa sia resa previa compenso adeguato al costo del servizio
- dato che il requisito dello scopo di lucro assume rilievo meramente
oggettivo  ed  e'  collegato   alle   modalita'   dello   svolgimento
dell'attivita' - con la conseguente applicabilita' nei  confronti  di
tali enti dell'art. 18 della legge n.  300  del  1970  in  ordine  ai
lavoratori da essi illegittimamente  licenziati.  Ed  ancora,  si  e'
precisato (Cass. Sez. Lav., sent. n. 3623 del  28  marzo  1995)  come
debba escludersi, nei confronti degli enti  ecclesiastici  civilmente
riconosciuti, nella disciplina della legge 12 febbraio 1968, n.  132,
non modificata in materia dalla legge 23 dicembre 1978,  n.  833,  la
qualifica di enti ospedalieri cioe' di enti pubblici  non  economici,
in mancanza di un'espressa  qualificazione  in  tal  senso  resa  con
decreto del Presidente della Repubblica,  mentre  resta  a  tal  fine
irrilevante la circostanza che l'ente ecclesiastico abbia ottenuto la
classificazione  del  proprio  ospedale  fra  quelli  soggetti   alla
programmazione ospedaliera (art 1, sesto  comma,  in  relazione  agli
articoli 20 e seguenti della legge  n.  132  del  1968).  Si  applica
quindi nei loro confronti, ad avviso di questo Collegio,  l'art.  15,
comma 14 del decreto-legge di cui trattasi n. 95/2012. D'altra parte,
si tratta  pur  sempre  di  soggetti  destinatari  di  accreditamento
istituzionale, ai sensi dell'art. 8-quater del decreto legislativo n.
502/1992 e di tetto di spesa prestabilito e delimitato a  carico  del
Servizio sanitario nazionale. Quanto  all'affermazione  poi  per  cui
tali  ospedali  riconosciuti  sarebbero  consustanziali  al   sistema
sanitario nazionale come gli stessi ospedali pubblici, si  tratta  di
assunto da rettificare alla stregua della piu' recente giurisprudenza
amministrativa che ben chiaramente ha avuto modo di  precisare  come,
particolarmente  dopo  l'entrata  in  vigore  del  decreto-legge   n.
112/2008, le strutture  private  «equiparate»  alle  pubbliche  (come
appunto gli ospedali classificati) sono soggette  a  tetto  di  spesa
invalicabile oltre il quale non hanno alcun diritto  a  remunerazione
pubblica. Ne' esse hanno diritto a  ripiano  di  eventuali  disavanzi
finanziari da  parte  ed  a  carico  delle  regioni  e  del  Servizio
sanitario nazionale (v. Consiglio di  Stato,  sez.  III,  6  febbraio
2013, n. 697). Da ultimo, puo'  soggiungersi  che  sempre  sul  piano
letterale l'applicabilita' agli ospedali classificati della normativa
(emergenziale) ex  art.  15,  comma  14  piu'  volte  citato,  appare
confermata  anche  tenendo  conto  dell'estensione  della  riduzione,
secondo l'espressa dicitura della legge, non solo  ai  contratti,  ma
agli stessi «accordi» (conferenti, questi ultimi, ex art. 8-quinquies
del decreto legislativo n. 502/1992,  proprio,  tra  le  altre,  alle
strutture private «equiparate»). 
    Premesso  quanto  sopra,  rileva  il  Collegio  che  appare   non
manifestamente infondato, anche alla stregua di quanto al riguardo in
parte  dedotto  dalla  stessa  struttura  ricorrente,  il  dubbio  di
costituzionalita'  in  ordine  alla  disciplina  normativa   che   ha
giustificato l'adozione dei contestati decreti, per contrasto con gli
art.  117,  comma  3,  della  Costituzione,  con  il   principio   di
irretroattivita' delle leggi e con gli articoli 41, 3, 97 e 32  della
Costituzione. 
    Relativamente alla detta violazione dell'art. 117, comma 3, della
Costituzione deve essere invero evidenziato che: 
    a) la sanita' rientra, giusta quanto  previsto  dalla  richiamata
disposizione   costituzionale,   nelle   materie   di    legislazione
concorrente per le quali spetta alle regioni la potesta' legislativa,
salvo che per la determinazione dei principi fondamentali,  riservata
alla legislazione dello Stato; 
    b) in tale quadro normativo il menzionato art.15, comma  14,  nel
prevedere un taglio generalizzato della spesa per il  2012  (ed  anni
successivi) che le singole regioni sono chiamate  a  sostenere  sulla
base di accordi precedentemente stipulati con  le  singole  strutture
accreditate,  non  puo'  in  alcun  modo  essere  annoverata  tra  la
normativa che fissa i principi fondamentali, e,  pertanto,  per  tale
aspetto, essa risulta in palese contrasto con iI richiamato art. 117,
comma 3. 
    Ed invero il Collegio, pur tenendo presente l'orientamento  della
Corte costituzionale secondo cui «l'autonomia legislativa concorrente
delle regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare
nell'ambito della gestione del  servizio  sanitario  puo'  incontrare
limiti alla  luce  degli  obiettivi  della  finanza  pubblica  e  del
contenimento della  spesa»,  peraltro  in  un  «quadro  di  esplicita
condivisione da parte delle  regioni  della  assoluta  necessita'  di
contenere i disavanzi del settore sanitario» (sentenze n. 91 del 2012
e n. 193 del  2007),  e  secondo  cui  il  legislatore  statale  puo'
«legittimamente imporre alle regioni vincoli alla spesa corrente  per
assicurare l'equilibrio unitario della finanza pubblica  complessiva,
in  connessione  con  il  perseguimento   di   obiettivi   nazionali,
condizionati anche da obblighi comunitari» (sentenze n. 91 del  2012,
n. 163 del 2011 e n. 52 del 2010), osserva tuttavia che  la  suddetta
disposizione, proprio perche' individua  specificatamente  i  settori
ove conseguire (con imposizione di tagli «lineari» senza alternative)
i risparmi  nella  spesa  sanitaria,  senza  limitarsi  ad  una  mera
quantificazione in via generale dei suddetti risparmi lasciando  alla
discrezionalita' dell'amministrazione regionale l'individuazione  dei
comparti di spese dove ottenerli e delle  modalita'  per  conseguirli
(magari differenziando i  destinatari  dei  tagli  di  spesa  secondo
propri criteri apprezzati  discrezionalmente  come  piu'  rispondenti
all'interesse e alle peculiarita' regionali), risulta  non  in  linea
con quanto disposto dal menzionato art. 117, terzo  comma.  Pertanto,
la  questione  di  costituzionalita',  sotto  tale  aspetto,  non  e'
manifestamente infondata. 
    Pure non manifestamente infondata e'  la  prospettata  violazione
dell'art. 97 Cost., oltre che dell'art. 3 della Cost., e dei principi
individuati dalla Corte  costituzionale  al  fine  di  assicurare  la
costituzionalita' di una legge retroattiva. 
    In  particolare,  tenendo  anche  conto  di  quanto   prospettato
dall'Istituto ricorrente, va sottolineato che: 
    a) giusta il  consolidato  e  notorio  orientamento  della  Corte
occorre  che  siano  rispettati  una   serie   di   limiti   generali
all'efficacia   retroattiva   delle   leggi,   che   attengono   alla
salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, quale il secondo
comma dell'art. 25 Cost., di altri fondamentali  valori  di  civilta'
giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e  dello  stesso
ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto  del  principio
generale di ragionevolezza che  ridonda  nel  divieto  di  introdurre
ingiustificate disparita' di trattamento, la tutela  dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto,  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; 
    b) nella fattispecie in esame la richiamata disposizione  nonche'
il successivo decreto regionale attuativo,  adottato  quest'ultimo  a
fine novembre 2012 quando  il  limite  del  budget  era  stato  ormai
sostanzialmente raggiunto, hanno inciso (limitatamente al  2012)  sul
legittimo  affidamento  venutosi  a  creare  in  capo  alle   singole
strutture sanitarie  ad  erogare  le  prestazioni  e  a  ricevere  il
relativo   corrispettivo   cosi'   come   stabilito   nei   contratti
antecedentemente stipulati, per  la  corretta  esecuzione  dei  quali
hanno d'altra parte allestito le relative  risorse  organizzative  ed
effettuato i  correlati  investimenti  in  materiali,  personale  ed.
attrezzature. Ora al riguardo non ignora il Collegio che viene  anche
ritenuta legittima, secondo la  giurisprudenza  amministrativa  (cfr.
CdS, Ad. Pl. n. 4/2012), l'introduzione retroattiva di tetti di spesa
in materia sanitaria. Ma cio' si e'  ritenuto  che  possa  ammettersi
soltanto in presenza di tetti di spesa degli anni precedenti ai quali
gli interessati si siano potuti rapportare tenendo contemporaneamente
conto  di  ulteriori  limiti  imposti  dai  tagli   stabiliti   dalle
disposizioni  finanziarie   conoscibili   dalle   strutture   private
all'inizio e nel corso dell'anno. Oltre tale limite, invero,  non  vi
e' piu' tutela  dell'affidamento  e  questo  appare  essersi  appunto
inverato nella specie per l'anno 2012 in quanto  i  tagli  di  budget
sono stati per tale anno imposti, con parziale decorrenza retroattiva
dal 1° gennaio 2012, dalla disposizione legislativa in  questione,  a
budget gia' approvati e senza alcun preesistente parametro da  cui  i
destinatari abbiano potuto preavvertire l'intervento  della  disposta
riduzione. 
    Risulta poi non manifestamente infondata, ad avviso del Collegio,
anche la violazione dell'art. 41  della  Costituzione  in  quanto  la
richiamata normativa nel decurtare i budget fissati  antecedentemente
verrebbe in sostanza ad impedire la remunerazione di prestazioni gia'
erogate,  con  conseguente  violazione  del  principio  di   liberta'
dell'attivita' economica privata. 
    Ugualmente non manifestamente infondata, nel  suddetto  contesto,
e' la violazione  dell'art.  32  della  Costituzione,  in  quanto  le
contestate riduzioni dei budget, giustificate unicamente da motivi di
ordine economico-finanziario e che fanno seguito ad altre  precedenti
riduzioni, possono determinare una compromissione  del  diritto  alla
salute costituzionalmente tutelato dall'art. 32, in palese  contrasto
con quanto affermato  dalla  Corte  costituzionale  con  sentenza  n.
309/1999, secondo la quale «le esigenze della  finanza  pubblica  non
possono assumere nel bilanciamento del legislatore un  peso  talmente
preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del  diritto  alla
salute protetto dalla  Costituzione  come  ambito  inviolabile  della
dignita' umana». 
    La rilevanza e la pregiudizialita' delle sollevate  questioni  di
costituzionalita' per la  controversia  in  esame  appare  del  tutto
evidente, stante  che  esse  investono  la  disciplina  normativa  in
applicazione della quale sono stati adottati i contestati decreti del
commissario ad acta per la Sanita' della regione Lazio. 
    Per  le  ragioni  suesposte  deve  essere  quindi   disposta   la
remissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione  del
giudizio ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, dell'art. 1 della
legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, dell'art.23  della  legge
11 marzo 1953, n. 87, e dell'art. 79 c.p.a.